La mia vita con i cavalli cominciò all'età di sei anni in
Germania,
dove sono nata.
Vivevo in campagna e il mio orizzonte abituale comprendeva la
vista di
cavalli e mucche. Un pomeriggio vidi un enorme cavallo da tiro
agricolo
galoppare in un ampio prato. Era bello, aggraziato (ebbene sì,
anche i
cavalli da tiro pesante possono esserlo), mi fece una grande
impressione. Era una femmina e decisi che dovevo tentare di
salirle in
groppa per cavalcare con lei.
Per prima cosa però le diedi un nome. La chiamai Grande Berta
e in
pochi giorni, con l'aiuto di mele e carote, Berta imparò ad
avvicinarsi alla
recinzione e a restare immobile il tempo necessario perché
potessi
salirle in groppa. Andavamo a zonzo, al passo e al trotto. A1
primo galoppo però mi innamorai perdutamente
dei cavalli.
È stata una esperienza meravigliosa che soprannominai "magia
alla
Berta''. Un mix di fiducia, pace e libertà che mi facevano
sentire veramente
bene. Berta mi proteggeva e appena perdevo l'equilibrio lei si
fermava giusto
il tempo perché potessi riassestarmi. Insieme eravamo una
coppia molto
affiatata, tant'è che cominciai a cimentarmi nel mondo degli
sport equestri con il volteggio,
il dressage
e le competizioni.
Sia chiaro, entrai in un mondo dove i cavalli vivono
prevalentemente
nei box di scuderia e ci si aspetta da loro che si comportino
né più né
meno come automi. Uno dei miei insegnanti, il migliore, fu un
militare in pensione. Amava
dirmi:
''In guerra la vita di un soldato dipendeva dal suo cavallo.
La fiducia
tra cavallo e cavaliere e il benessere del cavallo erano gli
elementi
più importanti per la sicurezza. Cosa possiamo dedurne? Cari
ragazzi,
per diventare bravi cavalieri la priorità deve essere la buona
cura del
cavallo!".
Dalla teoria ai fatti: finita la lezione a nessuno era
permesso di
rifocillarsi fino a che non si era sistemato al meglio il
cavallo.
Prendersi buona cura del cavallo significava non lasciargli
addosso
marcature da finimenti, pulirgli accuratamente muso, orecchie,
occhi,
piedi, zona genitale e perianale. "I cavalli non riescono a
concentrarsi durante gli esercizi se gli prude il sedere... ci
riusciresti tu in quella situazione?'' ripeteva a sfinimento
il mio
insegnante...
Era perfettamente nel giusto, eppure è pratica comune che
quando si va
al maneggio per una lezione il cavalli sia già perfettamente
pronto e
che finita la lezione l'allievo che segue sia già in attesa
per montare
lo stesso identico cavalli senza attardarsi a pulirlo e a
controllare i
finimenti.
Ci siamo forse dimenticati del benessere del cavallo per la
smania di
far soldi in modo facile e veloce?!?
In ogni modo, durante quegli anni di dressage e concorsi non
si ripeté
più il ''magico momento alla Berta". A ventidue anni lasciai
la scena
per andare a vivere in città e continuare i miei studi. A
venticinque
mi sposai ed ebbi un figlio. Ogni tanto mi capitava di andare
con amici in maneggio fuori città e
noleggiare un cavallo per fare una passeggiata... ma qualcosa
mancava
sempre.
A trent'anni mi trasferii in Inghilterra e precisamente a
Newmarket,
una città nota per l'ippodromo. Non era l'ambiente giusto per
me e
quando ce ne andammo dall'Inghilterra per venire a vivere in
Italia fui
grata del cambiamento. In Italia misi su un piccolo quotidiano
che si occupava delle
differenze culturali e sociali tra l'Italia e l'America,
finanziandosi con gli inserti
pubblicitari delle attività economiche locali. Un giorno vidi
un
manifesto che promuoveva un rodeo che si sarebbe svolto di lì
a poco
nella nostra provincia. Mi recai sul luogo della
manifestazione
pensando di vendere uno spazio pubblicitario, e mi trovai di
fronte un
maneggio dotato di appena un rettangolo. La scuderia contava
solo otto
cavalli.
Il proprietario mi rispose: ''Mi dispiace, non abbiamo fondi
extra da
investire in pubblicità, ma stia un po' nei paraggi... magari
può
scrivere un articolo gratuito sulle nostre attività''. Lo
feci. Rimasi un po', scrissi l'articolo e cominciai a tornare
spesso
in quel luogo per potermi intrattenere con ''Coda Lunga" un
argentino
arrivato da poco in Italia via nave, che aveva ancora
attaccata
all'orecchio la clip per l'impiego in macellazione. ''Non si
lascia
toccare da nessuno, è un selvaggio!'' lo additava il
proprietario, ''Ma vedrai che lo metterò in riga presto...
deve partecipare al
rodeo!'' aggiungeva.
Con Coda Lunga fu una sorta di amore al primo sguardo. I suoi
occhi
riflettevano tutta la tristezza, il dolore e la sofferenza del
mondo e
ne rimasi molto toccata. In più, in fondo, c'era una piccola
scintilla che sembrava dire: "Sono
qui, mi puoi vedere?''.
Mi commuoveva profondamente e così tornavo spesso sul posto
per
portargli carote e mele e per provare a conquistare la sua
fiducia.
Cominciai a mettergli una capezza per portarlo al pascolo. Un
giorno
gli chiesi il permesso di salirgli in groppa senza né briglie
né sella.
Mi portò a spasso come fece Berta la prima volta, prendendosi
cura di
me in modo gentile.
Eppure nessun altro in quel maneggio poteva montarlo. Aveva
sgroppato
chiunque ci avesse provato e il proprietario finì per
diventare geloso
del mio successo. Lui (pareva credere) avrebbe dovuto essere
il
domatore della situazione, non io. Gli chiesi di comprare Coda
Lunga,
ma in preda ad emozioni negative lui si rifiutò di
acconsentire. La
fece pagare al cavallo per l'amicizia che si era instaurata
tra noi.
Fu crudele con il cavallo di fronte ai miei occhi e dovetti
andarmene a
testa bassa perché la vita non peggiorasse ulteriormente per
Coda
Lunga. Fu una separazione drammatica e piansi molto, pregando
che Coda
potesse perdonarmi.
Qualche mese prime avevo conosciuto un Vecchio signore che
commerciava
in cavalli. Comprava cavalli per ingrassarli e poi venderli al
macello.
Non li trattava male. Li teneva al pascolo in uno spazio
ampio, ma
quando il tempo veniva per venderli al macello nulla lo
tratteneva. Dopo la delusione con Coda Lunga mi rifugiai nel
salvataggio di questi
poveri sfortunati. Feci un patto con il commerciante. Se fossi
riuscita
a montare uno o più cavalli, questi poi sarebbero stati
venduti come animali da sella
anziché da macello. Mi diedi molto da fare. Feci in modo di
montarli
tutti. Cavalli di ogni razza e stazza, con qualsiasi problema
fisico o
mentale... quieti o irosi... provai con ciascuno di loro
nell'intento
di liberarli dal drammatico destino che li attendeva. Non
riuscii a
salvarli tutti, ovviamente, ma spesso vi riuscii.
Fu una scuola di equitazione impareggiabile. lmparai ad
osservare bene
i cavalli e a capire il loro sistema di relazioni, come
rendersi amicio
nemicia vicenda. Non conoscendo il loro passato e, in
particolare, se
fossero stati mai impiegati o meno, a sella o a tiro che
fosse, non mi
rimaneva che fermarmi a lungo ad osservali per capirli, prima
di
prendere l'iniziativa di saltargli in groppa.
Circa un anno dopo l'anziano signore proprietario del branco
mi disse
che stava arrivando un nuovo cavallo che già conoscevo. ''E
Coda Lunga.
Ti avviso pero che e in pessime condizioni e non so se ce la
può fare a
salvarsi'' precisò. Una cosa che rimarrà per sempre indelebile
nella mia memoria è la vista
di Coda quando ecese dal camion. Aveva perso duecento chili.
Non
riusciva a tenersi in piedi, aveva ferite aperte e suppuranti
e si
appoggiava al lato del camion per trovare un qualche
equilibrio. Lo
chiamai e mi guardò con occhi stanchissimi. Ma c'era ancora
una piccola
luce che mi comunicava: ''lo sono qui... tu puoi vedermi?!?''.
Pregai il vecchio signore di lasciarmi tentare il salvataggio.
Acconsentì. Chiamammo il veterinario. Il medico non mi lasciò
mole
speranze, ma io insistetti. ''La prego... mi lasci provare...
Coda ce
la può fare, lo so... è un cavallo di indole forte!''
scongiurai e
pregai finché cedette e mi prescrisse le cure necessarie.
Ci vollero sei mesi perché Coda si rimettesse un minimo in
sesto,
recuperasse peso e gli si chiudessero le ferite aperte sul
fianco sinistro. Per sei
mesi mi lasciò applicare tutti i medicamenti necessari senza
mai
ribellarsi, come se sapesse che stavo cercando di fargli del
bene
(lavorando al rifugio che poi fondai mi sono resa conto che
anche i
cavalli più difficili e aggressivi sembrano incuire quando si
sta
cercando di aiutarli, e perciò in quei frangenti diventano
collaborativi).
Si strusciava a me quando quotidianamente andavo da lui per
applicargli
i trattamenti, e fu in uno di questi momenti che ritrovai
finalmente il
mio magico momento ''alla Berta”. Non erano il cavalcare, le
gare o i
concorsi che mi potevano regalare quegli attimi d'oro.
Piuttosto, era
la consapevolezza che potevo fare la differenza aiutando un
cavallo in
difficoltà, rendendogli la vita migliore.
Nel frattempo affittai una fattoria che prima era adibita
all'allevamento di conigli e la trasformai in un maneggio.
Comperai Filippo, uno stallone di dieci mesi destinato alla
macellazione perché difettoso negli appiombi, e quindi non
adatto ad
essere venduto come cavallo da sella, e nel giorno del mio
(quarantesimo compleanno organizzai un ricevimento nella mia
scuderia
per festeggiare la mia nuova attività e il dono di una casa
sicura,
finalmente, per Coda e Filippo.
Coda finì per diventare uno splendido cavallo, specialmente
con i
bambini. Portò perfino mia madre a fare una piccola
passeggiata nel
giorno del suo sessantanovesimo compleanno, e mia madre aveva
mai
montato un cavallo prima di allora! Insomma, mi restituì tutto
quello
che avevo fatto per lui e ancora di più.
Morì nel 2003. Era affetto da cancro e lo mettemmo a dormire
con tutte
le possibili premure. Gli tenni in braccio la testa fino
all'ultimo
respiro e ancora mi manca.
Il mio rifugio – maneggio per cavalli sfortunati è nato così.
Volevo
molti altri “ momenti alla Berta”. Tutte le volte che andavo
dai
commercianti di cavalli per comperare un buon cavallo da sella
tornavo
sempre con il più sgangherato tra tutti quelli visti........e
che ne
sono così tanti purtroppo che versano in tristi condizioni da
rendere
ardua la scelta.
Ad un certo punto, poi, furono i cavalli sfortunati a
cominciare a
cercarmi. Lucky venne da Trieste, un buco al posto di un
occhio e pus
maleodorante emesso da sotto la mandibola. Il suo proprietario
non
voleva spendere troppo soldi per lui, cosi le donne che
frequentavano
quel maneggio lo rilevarono e me lo portarono.
Dopo un anno di trattamenti, tre operazioni chirurgiche e orbo
da un
occhio, Lucky e oggi un cavallo felice. E lo zio adottivo di
uno dei
miei puledri. Quando, un mese dopo la sua terza operazione, lo
vidi al
pascolo giocare con Zuli, il puledro, ecco che ebbi un altro
dei miei
magici momenti ''alla Berta" Vederlo contento e sereno era la
soddisfazione maggiore che potessi ricevere, molto più
gratificante
rispetto a vincere un concorso.
Da allora ho avuto molti altri momenti magici alla Berta.
Certo, se
tutti si prendessero la briga di ascoltare i propri cavalli e
osservarli profondamente negli occhi, forse ci sarebbero meno
cavalli
infelici al mondo.